translated by Roberta Bucca
“Nulla sarà più come prima”: il futurologo Matthias Horx fornisce spunti di riflessione con il suo testo sul periodo successivo alla crisi.
Spesso mi si chiede in questi giorni quando questa fase di virus Corona “finirà” e tutto tornerà alla normalità. La mia risposta: mai. Ci sono momenti storici in cui il futuro cambia direzione. Le chiamiamo biforcazioni. O crisi profonde. E questo è uno di quei momenti.
Il mondo come lo conosciamo si sta dissolvendo. Ma dietro di esso si sta creando un nuovo mondo, di cui possiamo almeno intuire la forma. A tal fine vorrei proporvi un esercizio con il quale abbiamo fatto esperienze positive nei processi di visione nelle aziende. Noi lo chiamiamo il RE-Gnosi. A differenza del PRO-Gnosi con questa tecnologia non guardiamo “al futuro“ bensì guardiamo INDIETRO dal futuro al presente. Vi sembra una pazzia? Proviamoci.
Immaginate una situazione in autunno, mettiamo in settembre 2020, siamo seduti in un caffè lungo la strada di una grande città. Fa caldo e la gente si muove di nuovo per strada. Si muove in modo diverso? È tutto come prima? Il vino, il cocktail, il caffè hanno di nuovo lo stesso sapore?
Come prima di Corona? O sono più buoni?
Che domande ci poniamo così, a posteriori?
Ci sorprenderà che i sacrifici sociali a cui siamo stati costretti ci portino raramente alla solitudine. Al contrario. Dopo un iniziale stato di shock, molti di noi erano addirittura sollevati dal fatto che tutto il correre, il parlare, comunicare su più canali si fosse improvvisamente fermato. Le rinunce non significano necessariamente perdere qualcosa ma possono anche aprire nuove prospettive. Quello che tanti, per esempio, sperimentano con il digiuno a intervalli, dopo il quale, alla fine, mangiare ha è un’esperienza diversa un sapore diverso, lo si gusta di più. Paradossalmente, la distanza fisica forzata dal virus ha creato al tempo stesso una nuova vicinanza. Abbiamo conosciuto persone che altrimenti non avremmo mai incontrato. Abbiamo contattato più spesso i vecchi amici, rispolverando i legami che si erano arrugginiti. Famiglie, vicini, amici si sono riavvicinati e a volte hanno anche risolto conflitti mal celati.
È aumentata la sempre più latente buona educazione sociale.
Ora, nell’autunno 2020, l’atmosfera delle partite di calcio sarà molto diversa da quella della primavera, quando la rabbia di massa cresceva a dismisura. Ci chiediamo perché sia così.
Ci stupirà la rapidità con cui le tecniche culturali in ambito digitale si siano improvvisamente consolidate nella pratica. Le teleconferenze e le videoconferenze, a cui la maggior parte dei colleghi aveva sempre tenuto duro (il business plane era sempre preferibile) si sono rivelate estremamente pratiche e produttive. Gli insegnanti hanno imparato molto sull’insegnamento online. L’homeoffice è diventato una cosa scontata per molti, anche per l’improvvisazione e la gestione del tempo che ne deriva. Allo stesso tempo, le tradizionali tecniche culturali apparentemente superate, hanno vissuto una rinascita. All’improvviso non hai solo beccato la segreteria telefonica quando hai chiamato, ma persone vere. Il virus ha generato una nuova cultura del fare lunghe telefonate senza aprire contemporaneamente seconde schermate.
Anche i “messaggi” stessi hanno assunto un nuovo significato. La gente comunica di nuovo per davvero. Niente più cose lasciate in sospeso, niente temporeggiamenti. Si è così creata una nuova cultura dell’accessibilità. Di impegno.
Quelli che non si sono mai fermati dal ritmo frenetico della vita, anche i giovani, li ritrovi adesso a fare lunghe passeggiate (una parola che prima era piuttosto straniera). Leggere libri è diventato improvvisamente un culto.
I reality show hanno assunto improvvisamente un non so ché di imbarazzante. Tutta la spazzatura del banale, l’infinita immondizia dell’anima che si riversava in tutti i canali. No, non è scomparsa completamente. Ma di certo ha perso valore.
E c’è´ancora qualcuno che si ricorda delle controversie sulla correttezza politica? Le interminabili guerre culturali per… sì insomma, qual’ era il punto?
L’effetto principale delle crisi è che dissolve i vecchi fenomeni, li rende superflui…
Il cinismo, quel modo casuale di tenere il mondo a distanza attraverso la svalutazione, è stato di coplo messo fuori gioco. Dopo un breve sfogo iniziale anche l’esagerata isteria della paura nei media è stata contenuta.
Per non parlare poi delle tanto cruente serie poliziesche. Anche quelle hanno finito per raggiungere il loro “tipping point”, il punto di ribaltamento.
Saremo sorpresi che i farmaci che hanno aumentato l’indice di sopravvivenza siano stati messi a punto proprio durante estate, dopo che tutto fosse passato. Questi farmaci hanno ridotto il tasso di mortalità e il corona è diventato da allora solo un virus che esiste, come tutti gli altri – non più diverso dall’influenza e da molte altre malattie. I progressi medico-scientifici sono stati fondamentali. Eppure ancora una cosa l’abbiamo imparata: la chiave di tutto non è stata tanto la tecnologia quanto il cambiamento del comportamento sociale. Il fatto che le persone siano riuscite a rimanere solidali e costruttive nonostante le restrizioni radicali è stato il fattore decisivo. L’intelligenza umano-sociale ha giocato un ruolo essenziale laddove la tanto decantata intelligenza artificiale invece, nota per essere sempre in grado di risolvere tutto, ha avuto un effetto ben più limitato in materia di corona.
In questo modo si è spostato il rapporto tra tecnologia e cultura. Prima della crisi, la tecnologia sembrava essere la panacea, la portatrice di tutte le utopie. Oggi, nessuno – o solo i irriducibili – crede ancora nella grande salvezza digitale. Il grande clamore tecnologico è finito. Ancora una volta rivolgiamo la nostra attenzione alle domande più umane: che cos’è l’uomo? Cosa siamo l’uno per l’altro?
Ci meravigliamo a ritroso di quanto umorismo e umanità si siano effettivamente sviluppati ai tempi del virus.
Resteremo sorpresi di quanto l’economia possa ridursi senza che si verifichi un vero e proprio “collasso”, che in precedenza era stato evocato ad ogni minimo aumento delle tasse e ad ogni intervento statale. . Anche se c’è stato un “aprile nero”, un profondo crollo economico e un crollo del mercato azionario del 50%, anche se molte aziende sono fallite, si sono ridotte o sono mutate in qualcosa di completamente diverso, non si è mai arrivati a zero. Era come se l’economia fosse un essere che respirava e che potesse anche sonnecchiare o dormire e persino sognare.
In questo autunno, oggi, c’è di nuovo un’economia globale.
Oggi, in autunno, c’è di nuovo un’economia mondiale. Ma è sopravvissuta la produzione globale just-in-time, con enormi ramificazioni di catene logistiche, in cui milioni di singoli pezzi vengono caricati in tutto il pianeta. E’ in fase di smantellamento e riconfigurazione. Ovunque negli impianti di produzione e di servizio, gli impianti di stoccaggio intermedio, i magazzini, i depositi, le riserve sono di nuovo in crescita. Le produzioni locali sono in piena espansione, le reti sono in fase di localizzazione e l’artigianato sta vivendo una rinascita. Il sistema globale sta andando alla deriva nella direzione del processo di globo- localizzazione: localizzazione del globale.
Saremo sorpresi che anche la perdita di ricchezza dovuta al crollo del mercato azionario non faccia tanto male come all’inizio. Nel nuovo mondo il patrimonio di beni non gioca più di fatto il ruolo decisivo, per lo meno non più importante di un buon vicinato e di un orto pieno di frutti.
È possibile che il virus abbia cambiato le nostre vite in una direzione verso la quale si voleva comunque cambiare?
RE-Gnose: affrontare il presente saltando nel futuro
Perché questo tipo di scenario “dal davanti” sembra così fastidiosamente diverso da una classica previsione? Forse perché dipende molto dalle caratteristiche specifiche del nostro senso del futuro. Quando guardiamo “nel futuro” di solito vediamo solo i pericoli e i problemi “che vengono verso di noi”, che si accumulano fino a formare barriere insormontabili. Come una locomotiva che esce da una galleria e che ci passa sopra la testa. Questa barriera della paura ci separa dal futuro. Ecco perché il futuro dell’orrore è sempre il più facile da descrivere e rappresentare.
I Re-Gnosi al contrario creano un anello di consapevolezza in cui includiamo noi stessi e il nostro cambiamento interiore nel calcolo del futuro. Ci colleghiamo interiormente con il futuro, e questo crea un ponte tra oggi e domani. Si sviluppa una consapevolezza “future mind” del futuro.
Se lo si fa correttamente, si crea qualcosa come l’intelligenza del futuro. Siamo in grado di anticipare non solo gli “eventi” esterni, ma anche gli adattamenti interni con cui reagiamo ad un mondo cambiato.
Ed è chiaro che tale processo è molto diverso da una prognosi, il cui carattere apodittico ha sempre qualcosa di morto, di sterile. Abbandoniamo la rigidità della paura per tornare alla vivacità che appartiene ad ogni vero futuro.
La sensazione di avere superato una paura la conosciamo tutti. Quando andiamo dal dentista per il trattamento, stiamo lì a preoccuparci già da un pezzo. Perdiamo il controllo sulla poltrona del dentista e fa male prima ancora che faccia male. Nell’anticipare quel dolore ci addentriamo in un vortice di paure che ci travolge mentre dopo, quando abbiamo finito e ” ce l’abbiamo fatta” d’improvviso ritorna l’energia dentro di noi e il mondo ci sembra di nuovo una scommessa da vincere. Coping significa affrontare. Da un punto di vista neurobiologico l’adrenalina della paura è sostituita dalla dopamina, una sorta di farmaco endogeno del futuro. Mentre l’adrenalina ci porta a fuggire o a combattere (di fatto non realmente efficace sulla poltrona del dentista, così come non lo è nella lotta contro il coronavirus), la dopamina apre le nostre sinapsi cerebrali facendoci diventare curiosi, esploratori, anticipatori. Quando abbiamo un livello di dopamina sano, siamo portati a fare dei progetti e ad avere visioni che ci portano ad agire con lungimiranza.
Sorprendentemente molti fanno proprio esperienza di questo in questa fase di coronavirus. Quella che inizialmente è una perdita massiccia di controllo si trasforma improvvisamente in una vera e propria corsa alla positività. Dopo un momento di smarrimento e paura si sviluppa una forza interiore. Il mondo “finisce” ma in questo esserci ancora fisicamente nasce una sorta di “essere nuovi” interiormente.
Nel bel mezzo della chiusura della civiltà camminiamo attraverso foreste o parchi o in luoghi quasi deserti e invece di essere un’apocalisse si tratta qui di un nuovo inizio.
Così scopriamo che il cambiamento inizia come un cambiamento di aspettative, di percezioni e di connessioni mondiali. A volte è proprio la rottura con la routine e con ciò a cui siamo abituati, che libera il nostro senso del futuro. L’idea e la certezza che tutto potrebbe essere completamente diverso, perché no, anche in meglio.
Potremmo anche essere sorpresi dal fatto che Trump venga rimosso dal suo incarico a novembre. Anche partiti come l’AFD stanno dando seg segni di sfilacciarsi perché una politica feroce e divisiva non si adatta al mondo della corona. Nella crisi di Corona è diventato chiaro che chi intende mettere l gente gli uni contro gli altri non ha più voce in capitolo per contribuire a domande reali sul futuro. Quando la faccenda si fa seria diventa anche evidente il potere distruttivo che risiede nel populismo.
La politica nel suo senso primordiale come insieme di responsabilità sociali ha dato a questa crisi una nuova attendibilità e legittimità. Proprio perché doveva agire “autorevolmente” la politica ha creato fiducia nella società. Anche la scienza ha vissuto una rinascita sorprendente nella crisi della libertà vigilata. Virologi ed epidemiologi sono diventati stelle dei media, ma anche filosofi “futuristi”, sociologi, psicologi, antropologi, che prima erano stati ai margini di dibattiti polarizzati, hanno riacquistato voce e peso a discapito di tutte le fake news e le assurde teorie di cospirazione e dicerie infondate.
Un virus come acceleratore evolutivo
Le crisi profonde indicano anche un altro principio fondamentale di cambiamento: la sintesi tendenza-controtendenza.
Il nuovo mondo dopo, o meglio con il coronavirus, sta emergendo dall’interruzione della connettività del megatrend. Politicamente ed economicamente si tratta del fenomeno anche chiamato “globalizzazione”. Tuttavia l’interruzione della connettività – attraverso chiusure dei confini, divisioni, chiusure, quarantene – non porta all’eliminazione delle connettività, bensì semmai a una riorganizzazione di quelle connettività che tengono insieme il nostro mondo e lo portano nel futuro. C’è uno spostamento di tendenza nei sistemi socio-economici.
Il mondo a venire apprezzerà di nuovo le distanze e proprio per questo renderà i legami più significativi. Autonomia e dipendenza, apertura e chiusura saranno riequilibrate. In questo modo si potrà rendere il mondo più complesso ma allo stesso tempo più stabile. Questa trasformazione è in gran parte un processo evolutivo cieco – perché mentre il vecchio fallisce, il nuovo, vitale, prevale. All’inizio si avrà un senso di vertigini ma poi il significato si fará più chiaro: sostenibile è ciò che collega i paradossi su un nuovo livello.
Tuttavia, questo processo di complessazione – da non confondere con la complicazione – può anche essere consapevolmente realizzato dalle singole persone. Coloro che sono in grado di farlo, che parlano il linguaggio della complessità futura, saranno i leader di domani. I portatori di, le future Greta.
“Attraverso Corona adatteremo tutto il nostro atteggiamento verso la vita – nel senso della nostra esistenza come esseri viventi in mezzo ad altre forme di vita”. Slavo Zizek – all’apice della crisi del coronavirus a metà marzo
Ogni crisi profonda lascia dietro di sé una storia, una narrazione che punta lontano nel futuro. Una delle visioni più forti lasciate dal coronavirus sono gli italiani che suonano la musica sui balconi. La seconda visione ci viene inviata da immagini satellitari che mostrano improvvisamente le aree industriali della Cina e dell’Italia libere dallo smog. Nel 2020 le emissioni di CO2 dell’umanità diminuiranno per la prima volta. Questo ci renderà diversi.
Se il virus può farlo possiamo farlo anche noi? Forse il virus era solo un messaggero del futuro. Il suo messaggio violento è che la civiltà umana è diventata troppo densa, troppo veloce, troppo surriscaldata. Sta correndo troppo veloce in una direzione dove non c’è futuro.
Ma reinventarsi è possibile.